5 Standosi adunque Roderigo in questa tumultuosa et inquieta vita, et havendo per le disordinate spese già consumato quanto mobile si haveva riserbato, cominciò a vivere sopra la speranza de' ritracti, che di Ponente et di Levante aspettava; et havendo anchora buono credito, per non mancare di suo grado, prese a cambio. Et girandogli già molti marchi adosso, fu presto notato da quegli, che in simile exercizio in Mercato si travaglano. Et essendo di già il caso suo tenero, vennero in un sùbito di Levante et di Ponente nuove come l'uno de' frategli di mona Onesta s'haveva giucato tutto il mobile di Roderigo, et che l'altro, tornando sopra una nave carica di sue mercatantie sanza essersi altrimenti assicurato, era insieme con quelle annegato. Né fu prima publicata questa cosa che i creditori di Roderigo si ristrinsono insieme; et giudicando che fussi spacciato, né possendo anchora scoprirsi per non essere venuto il tempo de' pagamenti loro, conclusono che fussi bene osservarlo così dextramente, acciò che dal detto al facto di nascoso non se ne fuggissi. Roderigo, da l'altra parte, non veggiendo al caso suo rimedio et sapiendo a quanto la leggie infernale lo costringeva, pensò di fuggirsi in ogni modo. Et montato una mattina a cavallo, abitando propinquo alla Porta al Prato, per quella se ne uscì. Né prima fu veduta la partita sua, che il romore si levò fra i creditori, i quali ricorsi ai magistrati, non solamente con i cursori, ma popularmente si missono a seguirlo. Non era Roderigo, quando se gli lievò drieto il romore, dilungato da la città uno miglo; in modo che, vedendosi a male partito, deliberò, per fuggire più segreto, uscire di strada et atraverso per gli campi cercare sua fortuna. Ma sendo, a fare questo, impedito da le assai fosse, che atraversano il paese, né potendo per questo ire a cavallo, si misse a fuggire a piè et, lasciata la cavalcatura in su la strada, atraversando di campo in campo, coperto da le vigne et da' canneti, di che quel paese abonda, arrivò sopra Peretola a casa Gianmatteo del Brica, lavoratore di Giovanni del Bene, et a sorte trovò Gianmatteo che arrecava a casa da rodere a i buoi, et se gli raccomandò promettendogli, che se lo salvava dalle mani de' suoi nimici, i quali, per farlo morire in prigione, lo seguitavano, che lo farebbe ricco et gliene darebbe innanzi alla sua partita tale saggio che gli crederrebbe; et quando questo non facessi, era contento che esso proprio lo ponessi in mano a i suoi aversarii. Era Gianmatteo, anchora che contadino, huomo animoso, et giudicando non potere perdere a piglare partito di salvarlo, liene promisse; et cacciatolo in uno monte di letame, quale haveva davanti a la sua casa, lo ricoperse con cannucce et altre mondigle che per ardere haveva ragunate. Non era Roderigo apena fornito di nascondersi, che i suoi perseguitatori sopradgiunsono et, per spaventi che facessino a Gianmatteo, non trassono mai da lui che lo havessi visto; talché passati più innanzi, havendolo invano quel dì et quell'altro cerco, strachi se ne tornorno a Firenze. Gianmatteo adunque, cessato il romore et tractolo del loco dove era, lo richiese della fede data. Al quale Roderigo dixe: -Fratello mio, io ho con teco un grande obligo et lo voglo in ogni modo sodisfare; et perché tu creda che io possa farlo, ti dirò chi io sono. -Et quivi gli narrò di suo essere et delle leggi avute allo uscire d'inferno et della moglie tolta; et di più gli dixe il modo, con il quale lo voleva arichire: che insumma sarebbe questo, che, come ei sentiva che alcuna donna fussi spiritata, credessi lui essere quello che le fussi adosso; né mai se n'uscirebbe, s'egli non venissi a trarnelo; donde arebbe occasione di farsi a suo modo pagare da i parenti di quella. Et, rimasi in questa conclusione, sparì via.
6 Né passorno molti giorni, che si sparse per tutto Firenze, come una figluola di messer Ambruogio Amidei, la quale haveva maritata a Bonaiuto Tebalducci, era indemoniata; né mancorno i parenti di farvi tucti quegli remedii, che in simili accidenti si fanno, ponendole in capo la testa di san Zanobi et il mantello di san Giovanni Gualberto. Le quali cose tucte da Roderigo erano uccellate. Et, per chiarire ciascuno come il male della fanciulla era uno spirito et non altra fantastica imaginazione, parlava in latino et disputava delle cose di philosophia et scopriva i peccati di molti; intra i quali scoperse quelli d'uno frate che si haveva tenuta una femmina vestita ad uso di fraticino più di quattro anni nella sua cella: le quali cose facevano maraviglare ciascuno. Viveva pertanto messer Ambruogio mal contento; et havendo invano provati tucti i remedi, haveva perduta ogni speranza di guarirla, quando Gianmatteo venne a trovarlo et gli promisse la salute de la sua figluola, quando gli vogla donare cinquecento fiorini per comperare uno podere a Peretola. Acceptò messer Ambruogio il partito: donde Gianmatteo, fatte dire prima certe messe et facte sua cerimonie per abbellire la cosa, si accostò a gli orechi della fanciulla et dixe: -Roderigo, io sono venuto a trovarti perché tu mi osservi la promessa. -Al quale Roderigo rispose: -Io sono contento. Ma questo non basta a farti ricco. Et però, partito che io sarò di qui, enterrò nella figluola di Carlo, re di Napoli, né mai n'uscirò sanza te. Farà'ti alhora fare una mancia a tuo modo. Né poi mi darai più briga. -Et detto questo s'uscì da dosso a colei con piacere et ammirazione di tucta Firenze.
7 Non passò dipoi molto tempo, che per tutta Italia si sparse l'accidente venuto a la figluola del re Carlo. Né vi si trovando rimedio, avuta il re notitia di Gianmatteo, mandò a Firenze per lui. Il quale, arrivato a Napoli, dopo qualche finta cerimonia la guarì. Ma Roderigo, prima che partissi, dixe: -Tu vedi, Gianmatteo, io ti ho observato le promesse di haverti arrichito. Et però, sendo disobligo, io non ti sono più tenuto di cosa alcuna. Pertanto sarai contento non mi capitare più innanzi, perché, dove io ti ho facto bene, ti farei per lo advenire male. -Tornato adunque a Firenze Gianmatteo richissimo, perché haveva avuto da il re meglo che cinquantamila ducati, pensava di godersi quelle richeze pacificamente, non credendo però che Roderigo pensassi di offenderlo. Ma questo suo pensiero fu sùbito turbato da una nuova che venne, come una figluola di Lodovico septimo, re di Francia, era spiritata. La quale nuova alterò tutta la mente di Gianmatteo, pensando a l'auctorità di quel re et a le parole che gli haveva Roderigo dette. Non trovando adunque quel re a la sua figluola rimedio, et intendendo la virtù di Gianmatteo, mandò prima a richiederlo semplicemente per uno suo cursore. Ma, allegando quello certe indispositioni, fu forzato quel re a richiederne la Signoria. La quale forzò Gianmatteo a ubbidire. Andato pertanto costui tutto sconsolato a Parigi, mostrò prima a il re come egli era certa cosa che per lo adrietro haveva guarita qualche indemoniata, ma che non era per questo ch'egli sapessi o potessi guarire tucti, perché se ne trovavano di sì perfida natura che non temevano né minacce né incanti né alcuna religione; ma con tutto questo era per fare suo debito et, non gli riuscendo, ne domandava scusa et perdono. Al quale il re turbato dixe che se non la guariva, che lo appenderebbe. Sentì per questo Gianmatteo dolore grande; pure, facto buono cuore, fece venire la indemoniata; et, acostatosi all'orechio di quella, humilmente si raccomandò a Roderigo, ricordandogli il benificio factogli et di quanta ingratitudine sarebbe exemplo, se lo abbandonassi in tanta necessità. Al quale Roderigo dixe: -Do! villan traditore, sì che tu hai ardire di venirmi innanzi? Credi tu poterti vantare d'essere arichito per le mia mani? Io voglo mostrare a te et a ciascuno come io so dare et tòrre ogni cosa a mia posta; et innanzi che tu ti parta di qui, io ti farò impiccare in ogni modo. -Donde che Gianmatteo, non veggiendo per allora rimedio, pensò di tentare la sua fortuna per un'altra via. Et facto andare via la spiritata, dixe al re: -Sire, come io vi ho detto, et' sono di molti spiriti che sono sì maligni che con loro non si ha alcuno buono partito, et questo è uno di quegli. Pertanto io voglo fare una ultima sperienza; la quale se gioverà, la vostra Maestà et io areno la intenzione nostra; quando non giovi, io sarò nelle tua forze et harai di me quella compassione che merita la innocentia mia. Farai pertanto fare in su la piaza di Nostra Dama un palco grande et capace di tucti i tuoi baroni et di tutto il crero di questa città; farai parare il palco di drappi di seta et d'oro; fabbricherai nel mezo di quello uno altare; et voglo che domenica mattina prossima tu con il clero, insieme con tucti i tuoi principi et baroni, con la reale pompa, con splendidi et richi abiglamenti, conveniate sopra quello, dove celebrata prima una solenne messa, farai venire la indemoniata. Voglo, oltr'a di questo, che da l'uno canto de la piaza sieno insieme venti persone almeno che abbino trombe, corni, tamburi, cornamuse, cembanelle, cemboli et d'ogni altra qualità romori; i quali, quando io alzerò uno cappello, dieno in quegli strumenti, et, sonando, ne venghino verso il palco: le quali cose, insieme con certi altri segreti rimedii, credo che faranno partire questo spirito.-
8 Fu sùbito da il re ordinato tutto; et, venuta la domenica mattina et ripieno il palco di personaggi et la piaza di populo, celebrata la messa, venne la spiritata conducta in sul palco per le mani di dua vescovi et molti signori. Quando Roderigo vide tanto popolo insieme et tanto apparato, rimase quasi che stupido, et fra sé dixe: -Che cosa ha pensato di fare questo poltrone di questo villano? Crede egli sbigottirmi con questa pompa? non sa egli che io sono uso a vedere le pompe del cielo et le furie dello inferno? Io lo gastigherò in ogni modo. -Et, accostandosegli Gianmatteo et pregandolo che dovessi uscire, gli dixe: -O, tu hai facto il bel pensiero! Che credi tu fare con questi tuoi apparati? Credi tu fuggire per questo la potenza mia et l'ira del re? Villano ribaldo, io ti farò impiccare in ogni modo. -Et così ripregandolo quello, et quell'altro dicendogli villania, non parve a Gianmatteo di perdere più tempo. Et facto il cenno con il cappello, tucti quegli, che erano a romoreggiare diputati, dettono in quegli suoni, et con romori che andavono al cielo ne vennono verso il palco. Al quale romore alzò Roderigo gli orechi et, non sappiendo che cosa fussi et stando forte maraviglato, tutto stupido domandò Gianmatteo che cosa quella fussi. Al quale Gianmatteo tutto turbato dixe: -Oimè, Roderigo mio! quella è móglata che ti viene a ritrovare.- Fu cosa maraviglosa a pensare quanta alterazione di mente recassi a Roderigo sentire ricordare il nome della moglie. La quale fu tanta che, non pensando s'egli era possibile o ragionevole se la fussi dessa, senza replicare altro, tutto spaventato, se ne fuggì lasciando la fanciulla libera, et volse più tosto tornarsene in inferno a rendere ragione delle sua actioni, che di nuovo con tanti fastidii, dispetti et periculi sottoporsi al giogo matrimoniale.
9 Et così Belfagor, tornato in inferno, fece fede de' mali che conduceva in una casa la moglie. Et Gianmatteo, che ne seppe più che il diavolo, se ne ritornò tutto lieto a casa. |
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5 Estando, pues, Rodrigo en esta tumultuosa e inquieta vida, y habiendo por los gastos desordenados consumido todo el patrimonio que le habían asignado, comenzó a vivir con la esperanza de las rentas que de Poniente y de Levante esperaba, y como todavía gozaba de buen crédito, para no faltar a su posición, firmó pagarés. Y circulando ya muchos pagarés a su nombre, pronto repararon en él aquellos que trabajan en el mercado en esa actividad. Y estando ya su caso maduro, le llegaron de Levante y de Poniente nuevas según las cuales uno de los hermanos de la señora Honesta se había jugado todo el patrimonio de Rodrigo y el otro, al regresar en un navío cargado con sus mercancías sin haberse de otro modo asegurado, se había junto con ellas ahogado. En cuanto se enteraron los acreedores de Rodrigo, se reunieron y, juzgando que estaba acabado y no pudiendo descubrirse porque todavía no habían vencido sus deudas, concluyeron que sería conveniente observarlo muy atentamente para que dicho y hecho no huyera a escondidas. Rodrigo, por otra parte, al no ver remedio a su caso y sabiendo cuánto lo obligaba la ley infernal, pensó en huir como fuera. Una mañana, como vivía cerca de la Porta al Prato, montó en su caballo y por ella salió. En cuanto se conoció su partida, comenzaron a circular los rumores entre los acreedores, los cuales recurrieron a los magistrados, y se pusieron a seguirlo no sólo los corchetes sino todo el pueblo. No se encontraba Rodrigo a más de una milla de la ciudad, cuando lo alcanzó aquel ruido, de manera que viéndose en aprietos, decidió que para huir con más sigilo debía abandonar el camino e ir campo través a buscar su fortuna. Pero como se vio impedido en ello por las muchas zanjas que atraviesan la comarca y no pudiendo por ese motivo ir a caballo, se puso a huir a pie y, abandonada la cabalgadura en el camino, cruzó de campo en campo, oculto entre viñedos y cañaverales que abundan en esa comarca, y llegó así a Peretola, a casa de Gianmatteo del Brica, labrador de Giovanni del Bene, y quiso la suerte que encontrara a Gianmatteo que volvía a casa de apacentar a los bueyes; encomendóse a él prometiéndole que si lo salvaba de las manos de sus enemigos, los cuales lo perseguían para hacerlo morir en prisión, lo haría rico y antes de su partida le daría una prueba para que lo creyese; y si así no lo hacía, aceptaría que lo pusiera en manos de sus adversarios. Aunque campesino, Gianmatteo era hombre valiente y, juzgando que no podía perder nada tomando partido para salvarlo, así se lo prometió; lo metió entonces en una pila de estiércol que tenía delante de su casa, lo tapó con cañas y otras inmundicias que había juntado para quemar. No acababa Rodrigo de esconderse cuando llegaron sus perseguidores quienes, por más que amedrentaron a Gianmatteo, no consiguieron que les dijera que lo había visto con lo cual se marcharon y tras buscarlo en vano todo ese día y el siguiente, cansados ya, se volvieron para Florencia. Así, Gianmatteo, una vez cesado el alboroto y tras sacarlo del lugar donde estaba, le pidió que cumpliera su promesa. A lo cual Rodrigo le dijo: «Hermano mío, tengo contigo una gran deuda que quiero pagar como sea; y para que creas que puedo hacerlo, te diré quién soy». Le contó entonces su historia y le habló de las leyes que le impusieron al salir del infierno y de la esposa que había tomado, y le dijo, además, la forma en que quería enriquecerlo, que sería la siguiente: en cuanto se enterara de que había alguna mujer endemoniada, sería obra suya y no saldría a menos que fuera Gianmatteo a sacarlo, con lo cual tendría ocasión de hacerse pagar por los parientes de aquella. Tras quedar así de acuerdo, desapareció.
6 Al cabo de pocos días se hablaba por toda Florencia de que una hija de micer Ambruogio Amidei, a la que había casado con Bonaiuto Tebalducci, estaba endemoniada; los parientes no tardaron en aplicarle todos aquellos remedios que en semejantes casos se aplican, le pusieron en la frente la cabeza de san Zenobio y el manto de san Juan Gualberto. Pero Rodrigo se burlaba de todas estas cosas. Y para dejar claro a todos que el mal de la muchacha era obra de un espíritu y no de la imaginación, hablaba en latín y polemizaba sobre cosas de filosofía y descubría los pecados de muchos; entre ellos descubrió los de un fraile que había tenido en su celda durante más de cuatro años a una mujer vestida de frailecillo; todas estas cosas maravillaban a la gente. Por este motivo, micer Ambruogio vivía insatisfecho y, habiendo probado en vano todos los remedios, había perdido toda esperanza de curarla, cuando Gianmatteo fue a visitarlo y le prometió devolverle la salud a su hija a cambio de quinientos florines para comprar una finca en Peretola. Aceptó micer Ambruogio el ofrecimiento y Gianmatteo, tras mandar decir algunas misas y hacer algunas ceremonias para embellecer la cosa, se acercó al oído de la muchacha y dijo: «Rodrigo, he venido a verte para que cumplas la promesa que me hiciste». A lo que Rodrigo contestó: «Me place. Pero no es suficiente para hacerte rico. Cuando me haya ido de aquí, entraré en la hija de Carlos, rey de Nápoles, y no saldré nunca sin ti. Harás entonces que te den una recompensa a tu gusto. Y después no me causarás más molestias». Dicho lo cual salió de la muchacha para placer y admiración de toda Florencia.
7 No tardó mucho en difundirse por toda Italia el incidente ocurrido a la hija del rey Carlos. Y al no encontrarle remedio, tras tener el rey noticias de Gianmatteo, mandó a buscarlo a Florencia. El cual, llegado a Nápoles, tras alguna fingida ceremonia, la curó. Pero antes de que partiera, Rodrigo le dijo: «Como ves, Gianmatteo, he cumplido la promesa de enriquecerte. Pero como ya he cumplido, no te debo nada más. Te darás, pues, por satisfecho, pero no te me presentes más porque si hasta ahora te he hecho bien, en lo sucesivo te haré daño». Gianmatteo regresó a Florencia riquísimo, porque el rey le había dado más de cincuenta mil ducados y pensaba disfrutar tranquilamente de esas riquezas, no creyendo que Rodrigo pensara ofenderlo. Mas este pensamiento suyo se vio turbado en seguida por una noticia que llegó, según la cual una hija de Luis VII, rey de Francia, estaba endemoniada. La noticia inquietó a Gianmatteo pues pensaba en la autoridad de ese rey y en las palabras que Rodrigo le había dicho. Como aquel rey no encontraba remedio para su hija, enterado de la virtud de Gianmatteo, lo mandó llamar con un correo. Al alegar aquél cierta indisposición, viose el rey obligado a recurrir a la Señoría, la cual obligó a Gianmatteo a obedecer. Desconsolado se fue para París, y le demostró al rey que era cierto que en el pasado había curado a alguna endemoniada, pero que no por eso sabía o podía curar a todas, porque se encontraban diablos de naturaleza tan pérfida que no temían ni amenazas ni encantamientos ni religión alguna; mas pese a todo estaba dispuesto a cumplir con su deber y, si no lo conseguía, le pedía disculpas y perdón. A lo cual el rey, turbado, dijo que si no la curaba lo haría ahorcar. Sintió por esto Gianmatteo un gran dolor, mas se armó de coraje, hizo traer ante él a la endemoniada y acercándosele al oído, se encomendó humildemente a Rodrigo recordándole el beneficio que le había hecho y cuánta ingratitud demostraría si lo abandonaba en momento de tanta necesidad. A lo cual Rodrigo respondió: «¡Ah! villano traidor, ¿te atreves a presentarte así? ¿Crees acaso que puedes vanagloriarte de haberte enriquecido a mi costa? Voy a demostrarte a ti y a cualquiera que sé darlo y quitarlo todo a mi albedrío, y antes de que te marches de aquí, conseguiré que te ahorquen». Tras oír esto, y no encontrando ningún remedio, Gianmatteo pensó en probar suerte por otro camino. Mandó salir a la endemoniada y le dijo al rey: «Vuestra majestad, ya os lo he dicho, hay muchos espíritus tan malvados que con ellos no se gana nada, y éste es uno de ésos. Por lo tanto, quiero hacer una última experiencia, la cual, si sale bien, vuestra Majestad y yo conseguiremos lo que nos proponemos; si sale mal, me pongo en vuestras manos y tendréis de mí la compasión que merece mi inocencia. Mandaréis hacer en la plaza de Nostra Dama un estrado grande donde quepan todos vuestros barones y todo el clero de esta ciudad; haréis adornar el estrado con colgaduras de seda y oro, fabricaréis en medio de él un altar, y quiero que el próximo domingo por la mañana, vos con el clero, junto con todos vuestros príncipes y barones, con la real pompa, y con espléndidos y ricos ropajes, os reunáis encima de él, donde tras celebrarse antes una misa solemne haréis venir a la endemoniada. Además de esto, quiero que en un extremo de la plaza se reúnan al menos veinte personas con trompas, cuernos, tambores, cornamusas, atabales, tímpanos, címbalos y cualquier otro tipo de ruidos, las cuales, cuando yo levante un sombrero, tocarán esos instrumentos y, tocando, irán hacia el estrado; todas estas cosas, junto con otros remedios secretos, creo que pondrán en fuga a este espíritu».
8 El rey mandó de inmediato que se hiciera todo y, llegado el domingo por la mañana y lleno el estrado de personajes y la plaza de gente, una vez celebrada la misa, la endemoniada fue conducida al estrado de la mano de dos obispos y muchos señores. Cuando Rodrigo vio tanta gente junta y tanto aparato, quedóse casi atontado y dijo para sí: «¿Qué ha pensado hacer el muy menguado y villano? ¿Cree que me dejará pasmado con esta pompa? ¿No sabe acaso que estoy acostumbrado a ver las pompas del cielo y las furias del infierno? Lo castigaré de todos modos». Y al acercársele Gianmatteo y rogarle que saliera, le dijo: «¡Vaya idea has tenido! ¿Qué crees que vas a conseguir con tanto aparato? ¿Crees acaso que huirás por ello a mi poder y a la ira del rey? Bellaco, te haré ahorcar de todos modos». Y así, mientras el uno rogaba y el otro lo tachaba de insolente, Gianmatteo no quiso perder más tiempo. Hecha la señal con el sombrero, todos aquellos que habían sido reunidos para armar bulla, comenzaron a tocar y con un ruido que llegaba hasta el cielo se dirigieron hacia el estrado. Ante tamaño estruendo aguzó Rodrigo el oído y, no sabiendo de qué se trataba y estando muy maravillado, le preguntó muy asombrado a Gianmatteo qué era aquello. A lo cual Gianmatteo contestó todo turbado: «¡Ay de mí, Rodrigo mío! Es tu mujer que viene a verte». Fue maravilloso pensar en la alteración mental que produjo en Rodrigo que le recordaran el nombre de su mujer. Tanta fue que, sin pensar si era posible o razonable que se tratara de ella, sin replicar nada más, asustado, huyó dejando libre a la muchacha y prefirió regresar al infierno y dar razón de sus actos que volver a someterse con tantos incordios, disgustos y peligros al yugo matrimonial.
9 Y así, de vuelta en el infierno, Belfegor dio fe de los males que en una casa producía la mujer. Y Gianmatteo, que supo más que el diablo, volvió muy contento a su casa.
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